Descrizione
La fondazione del Duomo si deve alla volontà dei marchesi del Monferrato, e fu consacrata nel 1429 quando era ancora incompiuta.
II Chivassesi sono abituati a chiamare il grande tempio gotico che si affaccia su piazza della Repubblica “il Duomo”: in realtà, la principale chiesa della città ha la qualifica - concessa dal vescovo d’Ivrea monsignor Luigi Bettazzi nel 1996 - di “insigne collegiata”, ovvero di antica ed illustre sede di un capitolo di canonici.
Sul fianco destro della facciata si innalza il poderoso campanile, eretto nella seconda metà del Quattrocento: originariamente culminava in un’alta guglia ottagonale coperta di lamiere di latta. La cuspide venne definitivamente abbattuta durante l’assedio del 1705 e sostituita, pochi anni dopo, dalla tozza cella campanaria che si vede ancor oggi. Una curiosità: nonostante la distruzione della guglia metallica i Chivassesi hanno conservato fino ad oggi il soprannome scherzoso di “facia ëd tòla” (“faccia di latta”).
La facciata della Collegiata col campanile fu pubblicata dalla rivista “Cento città d’Italia” nell'anno 1899.
La facciata
Principale attrazione artistica dell’edificio, ancor oggi, è la facciata adorna di notevolissimi fregi e figure in cotto, databili forse nelle parti più antiche - come suggerisce Giovanni Donato (1983) - al 1450-60 circa. Il complesso delle terrecotte va considerato una delle principali espressioni dell’arte tardogotica in Piemonte, benché soggetto nel corso dei secoli a numerosi interventi di ripristino, cagionati in particolare dalla deperibilità e dalla scarsa qualità del materiale argilloso: uno dei restauri integrativi più consistenti fu attuato all’inizio di questo secolo da Cesare Bertea, con sostituzione di numerose figure riconoscibili dal diverso stile esecutivo e dalla tonalità più chiara dell’argilla.
Le terrecotte della facciata sono racchiuse in una monumentale forma a cuspide detta “ghimberga”, che ascende fino al colmo del tetto sottolineando la maestà del portale: è evidente infatti, in questa figurazione, la simbologia dell’ingresso della chiesa come “porta del Cielo”, passaggio dalla dimensione terrena alla dimensione dell’eternità e della gloria. La grande cuspide è simbolicamente sorretta da ventiquattro figure ordinate in quattro sequenze verticali ed inserite - dodici a destra e dodici a sinistra - fra esuberanti baldacchini e peducci; i personaggi delle due file esterne recano il capo coperto da berrettoni o da corone, mentre quelli delle due file interne hanno la testa scoperta e circondata da aureola: i primi - secondo le consuetudini dell’iconografia medievale - sono identificabili in profeti che hanno annunciato l’Incarnazione, e simboleggiano l’Antico Testamento; nei secondi, invece, sono riconoscibili i dodici Apostoli, che hanno diffuso il Vangelo del Cristo. Anche il numero ricorrente dodici ha - com’è naturale - un preciso significato allegorico, perché dodici sono le tribù d’Israele, il “popolo eletto”. Al culmine della grande ghimberga, fra altre teste di personaggi coperte da
berrettone, compare un angelo che reca fra le braccia un tondo raggiato con al centro il monogramma del Nome di Gesù. Al di sotto dell’angelo si apre il magnifico rosone, nel quale si ripetono teste barbate e altri motivi ornamentali. Subito al di sotto del rosone, vi è una ghimberga più piccola, decorata con figurine di angeli e putti ottenute a stampo: nel culmine di questa cuspide si libra la figura del Redentore. Al di sotto della ghimberga inferiore, infine, si apre il portale, nella cui lunetta è raffigurata una bellissima Vergine col Bambino, e intorno al quale si dispongono altre figure modellate di santi, fra le quali si riconoscono Giacomo il Maggiore - con il bastone da pellegrino - Giovanni Battista - con l’abito di pelli di cammello e la croce - Pietro - con il libro e le chiavi - e Paolo - con il libro e la spada -. Completano la figurazione, ai lati del Redentore, le immagini dell’Arcangelo Gabriele e della Madonna Annunciata.
Il campanile
Sulla destra del portale si eleva un poderoso campanile in mattoni, eretto nella seconda metà del Quattrocento sacrificando una cappella della chiesa. Originariamente culminava in un’alta guglia ottagonale costituita da una struttura in legno e ricoperta di lucenti lamine di latta; tale cuspide, che era sormontata da un gallo di bronzo dorato, era circondata sui quattro angoli della torre da quattro pinnacoli minori e da una ringhiera sui quattro lati: era motivo di grande orgoglio da parte della cittadinanza, che più volte dovette provvedere a restauri in seguito ai danni causati dalle intemperie. Nel 1705, durante l’assedio portato dalle truppe francesi, la parte superiore del campanile venne distrutta dalle cannonate nemiche: dopo d’allora la guglia non venne più ricostruita, ma venne sostituita nel secondo decennio del secolo dalla tozza cella campanaria che tuttora sussiste; a ricordo dell’antica cuspide metallica, ai Chivassesi rimase tuttavia il soprannome dialettale di “facia ‘d tòla” - “faccia di latta” -. La meridiana con “ora italica”, che compare sul lato del campanile rivolto verso la piazza, è opera recente di Mario Tebenghi - come quella del municipio - ma ricalca tracce seisettecentesche.
L'interno
L’interno a tre navate della chiesa è, dal punto di vista architettonico e decorativo, quanto mai eterogeneo. Le superstiti strutture in mattoni della fase quattrocentesca, con i loro robusti pilastri quadrilobati e le loro volte a crociera, sono state parzialmente rimesse in luce negli anni Trenta-Quaranta del Novecento, e sono particolarmente leggibili nella navata destra, decorata con affreschi neogotici. Le altre due navate conservano parzialmente, invece, il riassetto architettonico intrapreso dagli anni Venti dell’Ottocento su progetto di Andrea Cattaneo: la bravura del Cattaneo, architetto che si situa fra il crepuscolo del Barocco e il Neoclassicismo, emerge soprattutto nell’abside costruito ex novo, reso imponente da colonne di derivazione palladiana e provvisto di deambulatorio. Gli affreschi che ornano le volte della navata principale, di esuberanza neobarocca, sono probabilmente databili al tardo Ottocento.
Fra le opere d’arte custodite nella collegiata, notevolissima rilevanza ha un grande gruppo in terracotta policroma, databile alla seconda metà del Quattrocento e visibile in una nicchia a destra dell’ingresso; raffigura il Compianto sul Cristo Morto e s’ispira ad esempi borgognoni. Il corpo irrigidito di Gesù, coricato sulla Sindone, viene pianto dalla Madonna - visibile al centro, col volto seminascosto dal velo -, dal discepolo Giovanni che sorregge colei che per lui è una nuova madre, e dalle tre Pie Donne - delle quali quella con il vaso d’unguento è identificabile come Maria Maddalena -. Il lenzuolo funebre del Cristo è sorretto, ai lembi, da due solenni vegliardi in cui si possono riconoscere Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea: si noti in particolare la splendida delicatezza di modellazione delle loro teste, appena alterata da successive ridipinture. L’altare che sorge accanto a questo gruppo di terracotta reca una pala che raffigura la Visitazione e Sante.
Al secondo altare, si trova invece un importante dipinto su tavola del primo quarto del Cinquecento: rappresenta il Compianto sul Cristo morto, anche se viene comunemente definito come Deposizione. E’ l’unica opera conservata in città che sia ascrivibile alla bottega del chivassese Defendente Ferrari, se non al maestro stesso. Anche in questo dipinto Defendente si dimostra ricettivo nei confronti della pittura fiamminga e dell’incisione tedesca del Quattrocento: si noti in particolare l’affettuosa minuzia naturalistica dei fiori di campo che abbelliscono il prato intorno al corpo esanime di Gesù, nonché il particolare - assai significativo per un pittore piemontese - delle montagne coperte di neve che si intravedono sullo sfondo.
Superba è, inoltre, la cornice in legno intagliato e dorato, di gusto schiettamente rinascimentale con i suoi motivi a candelabra. A sinistra della pala di Defendente vi è una grande tela raffigurante il beato Angelo Carletti, illustre francescano osservante del Quattrocento, nato a Chivasso e noto in tutta Europa per la sua opera intitolata Summa de casibus conscientiae ovvero Summa Angelica. Il dipinto è da datarsi alla seconda metà del Settecento, non troppo lontano dall’anno 1753 in cui il Carletti venne beatificato; fu tuttavia ritoccato e ingrandito, presumibilmente, alla fine del secolo scorso: a tale periodo sembra risalire la veduta di Chivasso raffigurata nella parte bassa della tela.
Nel transetto destro, affrescato con figure di angeli, campeggia un elegante altare neogotico in marmo verde scuro: racchiude un trittico ad olio su tela datato 1907 e firmato dal pittore G. Guglielmetti. Il dipinto raffigura il Sacro Cuore fra il beato Angelo Carletti e san Sebastiano: le tre figure, che denunciano l’influenza di maestri tardo ottocenteschi come il Reffo e il Rollini, spiccano su un fondo oro a finto mosaico, e sono tratteggiate secondo un gusto un po’ arcaizzante, attento alla pittura primitiva e “devota” del Quattrocento italiano e fiammingo. L’abside presenta, al disopra dell’altar maggiore barocco in marmi policromi, un gruppo ottocentesco in terracotta policroma raffigurante la Madonna Assunta.
Addossato ad un pilastro della navata principale, non si tralasci poi di notare il pulpito donato dalla città di Chivasso negli anni cinquanta del Seicento: presenta finissimi bassorilievi lignei con le immagini del Redentore e degli Evangelisti.
Presso il transetto sinistro, una porticina ad arco acuto conduce dalla navata posta a mano manca alla cappella della Madonna di Luordes: si tratta dell’antica sagrestia quattrocentesca, e presenta ancora le originarie linee gotiche.
A sinistra di questa porta vi è un altare neorinascimentale: la sua pala raffigura la Madonna col Bambino fra i santi Crispino e Crispiniano, patroni della locale “università dei Calzolai” e perciò caratterizzati dall’attributo di una scarpa posta su un cuscino.
Proseguendo verso l’uscita, si incontrano altre due pale. La prima, posta su un confessionale, è di buona fattura settecentesca e rappresenta la Madonna col Bambino e i santi Alberto da Vercelli carmelitano, Apollonia, Omobono da Cremona e Lucia: il dipinto era posto sull’altare dell’”università dei Sarti”, ed infatti i santi Alberto da Vercelli ed Omobono erano i protettori di coloro che cucivano gli abiti. L’ultima pala prima dell’ingresso, invece, è tuttora inserita in un altare: raffigura la Santissima Trinità e i santi Luigi Gonzaga, Caterina d’Alessandria, Rosa e Orsola: come apprendiamo dallo storico Borla (1773), essa fu dipinta dall’artista locale Antonio Barbero, attivo fra lo scorcio del Seicento e la morte avvenuta nel 1711; a quanto giudica Carlo Caralmellino (1994), la figura di san Luigi può essere un’aggiunta posteriore.
Sulla controfacciata della chiesa si noti, infine, il grandioso organo, la cui installazione è stata la causa della chiusura del luminoso rosone quattrocentesco. Lo storico strumento, fra i più preziosi del Piemonte, fu costruito nel 1843 dall’organaro Felice Bossi ed alterato da successive modifiche: è provvisto di oltre 3.800 canne con due manuali e pedaliera.
Modalità d'accesso
Ingresso privo di barriere architettoniche
Indirizzo
Punti di contatto
Ultimo aggiornamento: 4 settembre 2024, 13:32